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Prodotti biodegradabili e compostabili, li conosci davvero?

Aggiornamento: 25 gen 2022

Biodegradabili o Compostabili? Quali sono le principali differenze?


Oggi il packaging è di importanza sociale, non esiste alcun prodotto che non necessiti di una sorta di protezione e imballaggio, all’atto della vendita tra buste e scatoloni vengono immessi nell’ambiente una serie di materiali che debbono poi nel tempo essere smaltiti correttamente se si desidera assicurarsi un futuro green.


La confusione negli acquirenti nasce dall’etichetta presente su ogni imballaggio che riporta la dicitura ‘compostabile’ o 'biodegradabile', ma qual è la reale differenza tra le due definizioni?


Secondo Jason Locklin, direttore dell’Istituto dei Nuovi Materiali dell’Università della Georgia, la differenza tra le due tipologie di materiali disorienta il 90%dei consumatori, il punto è che la non conoscenza della differenza tra compostabile e biodegradabile, renderebbe vano l’acquisto e l’utilizzo di materiali eco friendly, problematica di non poco conto se si considera che il New York Times in seguito ad una recente ricerca, ha messo in luce che il 34% della popolazione, si direbbe propensa a pagare di più per una bottiglietta d’acqua se composta da materiali completamente smaltibili dall’ambiente.


Iniziamo a conoscere allora, l’impatto sull’ambiente di un prodotto industriale e che viene valutato sistematicamente tramite il life cycle assessment.

Con life cycle assessment, si intende un sistema standardizzato, mirato a rilevare tutti i potenziali impatti negativi che un materiale potrebbe avere sull’ambiente, prendendo in considerazione anche il consumo di risorse e le emissioni di CO2 che vengono impiegate durante il ciclo di produzione, dunque la quantità e la qualità delle energie impiegata per la sua realizzazione, per il suo trasporto e il suo smaltimento finale.


Lo studio di un materiale richiede 4 step principali che possono essere tradotti attraverso pratici esempi: se prendiamo in considerazione il ciclo di vita di un capo di abbigliamento in puro cotone, il life cycle assessment inizia proprio dall’esame della coltivazione della pianta, seguono la lavorazione ed il trasporto della materia prima, il trasporto del prodotto semilavorato, la realizzazione in toto del capo, la sua distribuzione nei negozi, fino all’arrivo all'acquirente con il suo successivo utilizzo e al suo smaltimento e/o riciclo.

Se invece lo studio dovesse riguardare un prodotto sintetico, in questo specifico caso verrebbe preso in considerazione un ulteriore passaggio: il rifornimento delle materie prime fossili.


Cosa deve sapere un consumatore medio in merito alla differenza tra materiali biodegradabili e compostabili?


La biodegradabilità, riferita ad uno specifico materiale, è il grado di capacità di questo di essere scomposto in microorganismi naturali, ovvero, la possibilità che ad agire su di esso siano agenti biofisici naturali come la luce solare, batteri o la semplice umidità, dunque agenti atmosferici e biologici.


La compostabilità invece, rientra nel ciclo della biodegradabilità, ciò significa che un materiale compostabile reca in sé le caratteristiche di un materiale biodegradabile, ma anche che non può essere vero il contrario, cioè che un materiale biodegradabile risulti sempre compostabile, il compost è infatti un prodotto che grazie alla degradazione batterica può essere riutilizzato in agricoltura come fertilizzante naturale e risponde ad una specifica normativa europea sul packaging ovvero la EN13432/EN14995.


Secondo Poloplast - Associazione Italiana Food Packaging - la differenza tra i due sarebbe molto semplice: con biodegradabile ci si riferisce ad una tipologia di materiale che si disintegra entro 6 mesi dalla sua immissione nel pianeta rispondendo alla normativa europea UNI EN 13432:2002, mente il 90% dei materiali compostabili riesce ad essere smaltita nei primi 3 mesi e non oltre.


Altro requisito fondamentale per un materiale al fine di essere definito compostabile, è l’aver superato un test di ecotossicità che attesti ufficialmente che il suddetto materiale non è dannoso per l’ambiente.


Cosa si intende con microrganismi naturali?


I microrganismi naturali sono tutti i materiali organici che hanno la capacità di essere scomposti in molecole più semplici, al punto da diventare metano, acqua e anidride carbonica.

Dunque, a livello industriale potremmo definirli come tutti quei materiali la cui gestione degli scarti può essere ottimizzata tramite l’adozione di soluzioni che ne permettano di ricreare un ciclo virtuoso che sia a vantaggio dell’ambiente.


Da dove partire per consentire al nostro pianeta di incoraggiare una politica totalmente green?


Oltre a conoscere la sottile ma importante differenza tra i prodotti biodegradabili e compostabili, e di conseguenza provvedendo al corretto smaltimento dei rifiuti, è altrettanto essenziale che ogni cittadino inizi la propria giornata abbracciando le novità in materia di fonti rinnovabili, scegliendo di rendere green i consumi privati promuovendo l’entrata in vigore di un’economia totalmente circolare.


Secondo Edison se si desidera che l’economia circolare entri realmente di quotidiana amministrazione, bisogna creare un sistema di relazioni innovativo che coinvolga pubblico e privato e soddisfi la conoscenza in materia di ogni cittadino.

Le imprese dovrebbero tentare di scambiarsi le materie prime di fine ciclo produttivo anche se si dovesse trattare di attività produttive differenti, un esempio ne sono i contesti in cui gli scarti alimentari vengono riutilizzati per produrre box di cartone.


Non è un caso se oggi si parla addirittura del fotovoltaico in grado di rigenerarsi, costituito da materiali in grado di aumentare il ciclo di vita.4

In particolare, si fa riferimento ad una ricerca pubblicata su Advanced Electonic Materials, in cui è stato esposto l’importanza dell'utilizzo del seleniuro di antimonio - sb2se3 - un semiconduttore già conosciuto in tutto il settore competente e dedito alla ricerca fotovoltaica.


Si è visto infatti che il seleniuro di antimonio riesce a raggiungere un’efficienza di conversione della luce in elettricità del 9,2%, ma che soprattutto ha in sé la capacità di ricostruire i legami spezzati rotti sulle superfici dei pannelli solari grazie a ricostruzioni strutturali.




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